Posso dire che la persona che ho visto e vissuto di più in vita mia è Emma.
Ho tanti ricordi con Emma, mia nonna. È lei che mi ha cresciuta con i suoi modi un po’ bruschi e semplici. Quando ero piccola ci salutavamo dalla finestra con un bel vaffanculo e questa cosa mi faceva ridere come una matta. Ricordo le estati al mare in cui usciva presto al mattino e mi portava le focacce per fare colazione, i pomeriggi al parco a raccogliere margherite, le “capatine” dal tabaccaio per giocare al Lotto e al Gratta e Vinci (non per altro è stata soprannominata “la Grattina”). Le cose strane che mi ha sempre raccontato, come quando ha sotterrato i soldi del nonno Domenico (un po’ matto, come dice lei) sotto un albero e per poco non gli prendeva un infarto… pover’uomo! E quanto ride quando me lo dice.
È strano come da anziani si torni un po’ bambini, ci si lamenta quando dobbiamo lavarci, si passa dalle risate alle lacrime in un lampo. Riguardando le foto di qualche anno fa vedo il suo cambiamento e mi sembra impossibile, non me ne ero quasi accorta. Essere anziani è difficile, “la vecchiaia è brutta” mi dice spesso. Io le rispondo che l’alternativa è morire giovani, quindi dovrebbe essere felice di aver vissuto a lungo, ma so che queste parole non sono di conforto, perché la testa è un po’ andata e dopo pochi secondi si è già dimenticata di quello che ha detto o sentito. E allora preferisco stare io ad ascoltarla, mentre mi racconta della sua infanzia o della mia, che spesso confonde con quella di mia mamma o di mio zio.
Emma passa gran parte del tempo alla finestra, osserva il mondo che va avanti come una spettatrice al cinema, si emoziona quando vede un cagnolino a spasso o gli alberi che cambiano colore con le stagioni.
Perché queste immagini? Perché fotografare mia nonna è uno scambio. L’interazione crea la fotografia e nello stesso tempo è un modo per renderla partecipe di quello che faccio. Mia nonna è bella. Vedo un’intensità in lei nel momento in cui sa di essere fotografata, una fierezza che mi colpisce. Sento il bisogno di farle capire che per me è importante. Voglio darle attenzione, voglio che i nostri momenti rimangano impressi.
C’è il rituale delle pasticche settimanali, le partite a carte, il bagno che odia fare e per evitarlo dice sempre che ha il raffreddore, i pranzi che le faccio di fretta per i tanti impegni quotidiani, il suo amore per la gatta Gemma (pensa ancora che sia un maschio!), la sigaretta dopo pranzo (guai a non dargliela, perché è capace di smontare tutti i cassetti della casa pur di trovarne una, visto che le nasconde e poi si dimentica il luogo in cui le ha messe), le mille chiamate che fa se non rispondo.
Fotografare mia nonna significa porre l’attenzione su cosa vuol dire essere anziani e non più autosufficienti. Le persone della terza età non sono stupide, non vanno messe in un angolo, considerandole non più utili alla società. Gli anziani sono uno scrigno di ricchezza, esperienza ed emozioni uniche. Siamo esseri sociali anche a 90 anni. La solitudine dei nostri nonni è un tema attuale e urgente, che ha spesso esiti drammatici anche sulla loro salute, visto che aumenta il rischio a livello immunitario e cardiovascolare, causa disturbi del sonno, riduce le capacità cognitive e può portare inesorabilmente alla depressione.
Io non ho risposte a questi problemi, ma con le mie foto vorrei fare luce su queste tematiche affinché ci si rifletta.
La frase “fotografa ciò che conosci” l’ho vissuta e capita attraverso questo progetto. Qui c’è il mio cuore.